1) A cosa serve il lavoro? Quante forme di lavoro conosciamo?
Il lavoro serve a soddisfare, direttamente o indirettamente, i propri bisogni e le proprie necessità. Serve ad auto-realizzarsi, rendendoci soddisfatti verso noi stessi e utili verso gli altri, aumentando contemporaneamente la nostra autonomia e la nostra capacità di emanciparci.
Le forme di lavoro che conosciamo sono quello salariato, quello autonomo, quello gratuito, quello di cura familiare e quello di cura per la comunità e l'ambiente in cui viviamo.
2) Tutte le forme di lavoro hanno bisogno di crescita o solo quello salariato?. Rimanendo all’ambito privato, quali forme di lavoro possiamo potenziare per permettere a tutti di soddisfare i propri bisogni senza far crescere i consumi?
Il lavoro salariato ricerca e ha bisogno della crescita. A livello teorico, in un'economia di mercato, la crescita della produzione dovrebbe portare ad un aumento del lavoro salariato e di quello autonomo, in quanto occorre maggiore lavoro per determinare un aumento della produzione. Purtroppo questo non sempre si è realizzato nella pratica. Innovazioni tecnologiche, maggiore facilità nello spostare le attività produttive, possibilità di sfruttare manodopera a basso costo o schiava, deregolamentazione finanziaria e globalizzazione del mercato hanno non di rado consentito, soprattutto negli ultimi decenni, aumenti della produttività senza contemporanei aumenti dei salari e/o degli occupati. Il lavoro gratuito-volontario, quello di cura della famiglia, della comunità e dell'ambiente, invece, non necessariamente hanno bisogno della crescita, anzi, si basano principalmente sull'auto-produzione di beni e servizi, ma anche, spesso, sulla gratuità della loro fornitura, sul recupero e sul riutilizzo.
Per permettere a sempre più persone di poter soddisfare un numero crescente dei propri bisogni è opportuno potenziare e agevolare tutte le forme di lavoro di cura e assistenza, le attività di riparazione, di riciclo e di riutilizzo delle materie e dei beni, tutte le forme di auto-produzione, le iniziative gratuite che favoriscono gli scambi culturali, di socializzazione e di incontro, le attività che mirano alla riduzione delle filiere produttive e commerciali, gli scambi non monetari.
3) Se valutassimo i settori produttivi in base all'utilità e alla sostenibilità, che percentuale di posti di lavoro stimiamo di dovere eliminare? Si tratterebbe di una perdita secca o altri mestieri e altri settori andrebbero potenziati in un'ottica di sostenibilità?
Sicuramente più del 30%, forse anche una percentuale vicino al 50%. Andrebbero eliminati settori quali la moda (intesa come attività che svincola gli oggetti e i comportamenti dalle loro proprietà e utilità intrinseche, per legarli solo all'arbitrio commerciale del momento) il marketing, la pubblicità commerciale, la produzione di armi e l'incenerimento dei rifiuti.
Parallelamente, andrebbero ridotti e regolamentati settori come quello automobilistico e dei trasporti in generale (evitando gli spostamenti non necessari), quello delle energie non rinnovabili, della finanza, quelli che generano un eccessivo consumo del territorio, come l'edilizia che costruisce nuovi edifici invece di risistemare quelli già esistenti, quello dell'allevamento e della macellazione, delle pubbliche amministrazioni, quello del confezionamento e degli imballaggi.
Uno degli snodi fondamentali per la “sostenibilità” pratica e teorica delle idee della decrescita, del ben-essere e del ben-vivere, della sostenibilità ambientale e di un nuovo modello di sviluppo passa per la capacità, o meno, di coprire queste perdite potenziando e favorendo altri settori e altri mestieri. Ossia quelli che si occupano di riciclo e riutilizzo dei materiali, di riparazione degli oggetti, di formazione all'autoproduzione e ai lavori di cura, quelli che favoriscono lo sviluppo e la diffusione del risparmio energetico e delle energie rinnovabili, le occupazioni nei settori della cultura e dell'arte, chi si occupa di recuperare gli spazi in disuso e abbandonati, quelli che favoriscono le forme di socialità e incontro, chi, con la propria opera, determina una riduzione delle filiere produttive e commerciali. Infine, in una visione propedeutica a questi cambiamenti, ci pare imprescindibile rendere più liberi e indipendenti, oltre che potenziarli, due settori come l'istruzione e l'informazione.
4) Quali richieste immediate avanzare al sindacato,ai partiti,alle istituzioni per favorire lo spostamento produttivo e redistribuire il ridotto ammontare di lavoro salariato?
Contrastare l'attività di lobby dei grandi poteri economici (ridare potere alla politica a discapito dell'economia, soprattutto di quella finanziaria)
Chiediamo coraggio e determinazione nel portare avanti scelte e decisioni di lungo periodo, magari inizialmente impopolari, ma che porteranno a benefici nei prossimi 5-10 anni.
Stop al consumo del territorio e alla cementificazione
Tutela e salvaguardia dei beni comuni, come ad esempio l'acqua
Ridurre i costi della politica, gli sprechi nella pubblica amministrazione, eliminare gli enti e gli organismi inutili al benessere della collettività o ridondanti.
Portare avanti scelte di politica economica, industriale e fiscale che favoriscano i settori e le occupazioni che dovrebbero essere potenziati (riciclo, energie rinnovabili, formazione all'autoproduzione e alla cura, ecc.) e puniscano quelle dannose per la sostenibilità dell'ambiente e del ben-vivere degli uomini.
Una politica del lavoro più energica e impegnativa, che ricerchi la piena occupazione, ma il più possibile secondo i bisogni e le forme che ogni lavoratore sceglie. Una politica che garantisca, da un lato, la flessibilità in entrata ma che impedisca nella maniera più assoluta, dall'altro, la precarizzazione dei lavoratori, che non permetta il licenziamento senza giusta causa, ma che lo obblighi in caso di manifesta negligenza.
Chiediamo inoltre che l'obiettivo delle scelte politiche e sindacali sia quello di ridurre l'orario di lavoro salariato, anche rompendo il tabù della “riduzione delle ore a parità di salario”, in quanto anch'esso frutto di una logica produttivista e industrialista. In un'ottica di decrescita dovrebbero occorrere meno soldi e si dovrebbe ricorrere molto meno al mercato per soddisfare i propri bisogni, quindi, anche se non vogliamo certo che la decurtazione dei salari, già miseri per le categorie più basse, sia direttamente proporzionale alla riduzione delle ore lavorate, una diminuzione dei salari, legati anche ad un parziale taglio alle ore lavorate, non dev'essere inimmaginabile ma deve considerarsi utile alla transizione verso un nuovo modello di sviluppo.
Altra richiesta, principalmente per l'ambito sindacale, è che la sindacalizzazione dei lavoratori del Sud del mondo dev'essere un obiettivo primario anche per i lavoratori e i sindacati del Nord del mondo. Se il mondo è un unico mercato globale, il fatto che in determinate aree si possa produrre a costi bassissimi, grazie allo sfruttamento di uomini e materie prime, porterà le produzioni a spostarsi verso queste zone, a discapito di coloro che lavorano in paesi più ricchi e democratici, dove simili forme di sfruttamento non potrebbero essere tollerate Questo processo, iniziato da multinazionali come Nike, è in essere già da più di trent'anni e non accenna a scemare, anzi. Il cerchio si chiude, a danno dei lavoratori più poveri dei paesi ricchi, perché questi ultimi si trovano giocoforza costretti a comprare quei beni a basso costo, ottenuti dallo sfruttamento dei lavoratori e delle materie prime nel Sud del mondo. Per interrompere questa spirale è necessario che anche i lavoratori dei paesi più poveri acquistino maggiori diritti. Prima di tutto in quanto esseri umani liberi e non schiavi. In secondo luogo per avere un costo del lavoro adeguato e proporzionale in ogni angolo del mercato globale.
Richiediamo, infine, un welfare che tuteli e curi i cittadini nei momenti di bisogno, che non faccia solo assistenzialismo, ma che aiuti le persone a rendersi attive e partecipi della loro cura e del loro miglioramento. Che permetta, riconosca e ricompensi le forme di cura in ambito familiare e domestico, di vicinato e di comunità
5) L'economia pubblica va concepita unicamente come un comparto che spende o che produce anche ricchezza? La sua capacità di produrre ricchezza su cosa si fonda?
L'economia pubblica va concepita come un comparto che produce anche ricchezza, intesa nel senso più ampio del termine e non solo in quello meramente economico. L'economia pubblica dev'essere in grado di fornire beni e servizi che possano migliorare la qualità della vita dei cittadini e dell'ambiente in cui vivono. Per fare questo non occorre un mero assistenzialismo, ma un investimento (altra parola di cui dovremmo riappropriarci) di lungo periodo sulla qualità della vita e su un modello diverso da quello attuale.
L'economia pubblica dovrebbe contribuire alla nostra “formazione”, a non farci ricorrere al mercato per cercare quei beni e quei servizi in grado di soddisfare i nostri bisogni. Dovrebbe “insegnarci”, anche e soprattutto dal punto di vista pratico, a ricorrere all'autoproduzione, alle economie di vicinato e alla fornitura di servizi di cura e assistenza in ambito familiare o quello ad esso più prossimo.
La sua capacità di produrre ricchezza non si fonda, quindi, necessariamente sulla produzione diretta di un'entrata economica, come il denaro ad esempio, ma si riferisce alla fornitura degli strumenti (diffusione di saperi, abilità pratiche, competenze ed esperienze) che ci aiutino a produrre ciò che serve a soddisfare i nostri bisogni e a migliorare la qualità della nostra vita.
E' dunque necessario slegare il concetto di ricchezza dal denaro e dalla logica del mercato. La ricchezza dovrebbe basarsi, principalmente, sul mutualismo, sulla volontà di cooperare delle persone, sulla loro volontà di prestare e condividere tempo, lavoro e competenze, per il bene comune.
Per questo, ma non solo, riteniamo importantissimo il ruolo gestionale e di coordinamento del settore pubblico. Esso deve anche operare per la tutela e la fruibilità di quei beni che sono comuni, come l'acqua e l'aria.
6) Per la parte che produce ricchezza, si possono immaginare forme di contribuzione collettiva che non risentono dell’ andamento dell’economia generale?
Si possono immaginare forme di contribuzione collettiva che prevedano la fornitura di tempo, lavoro e competenze da parte dei contribuenti. Non necessariamente in maniera coercitiva, ma favorendola fiscalmente appunto.
Magari iniziando a introdurre questo sistema a livello locale, di quartiere o di comunità. Purtroppo un'ipotesi del genere necessiterebbe, per realizzarsi ad un livello più esteso, di persone che hanno un'idea di individualità e di collettività ben diversa da quelle oggi dominanti.