Conviene seguire da vicino cosa sta succedendo in Grecia perché è il filmato di ciò che toccherà agli altri paesi europei fortemente indebitati, Italia in testa che ha un debito pubblico pari al 120% del Pil. Ma procediamo con ordine precisando che in gioco non c'è la capacità degli stati di pagare le fatture che quotidianamente presentano fornitori di beni e servizi. Questo viene come conseguenza del vero problema che è la continua necessità degli stati di ottenere nuovi prestiti per ripagare quelli vecchi in scadenza. Una montagna di denaro che gli stati indebitati cercano di raggranellare presso banche, fondi pensione, e qualsiasi altro istituto finanziario che per mestiere raccolgono e investono risparmio di altri. Prestiti con interessi a sorpresa in base a come ti valuta il mercato: maggiore lo stato di sofferenza, più alti i tassi di interesse richiesti, rendendo gli stati più deboli simili a cavalli stremati che ad ogni nuova boccata di biada ricevono sul groppone un nuovo peso da portare. Il rischio è che cadano e non si rialzino più. Ma alle banche questa prospettiva non sembra interessare, anzi forse è proprio ciò che vogliono, come è nella politica di molti strozzini a cui non interessa tanto cosa possono guadagnare dagli interessi, ma cosa possono ricavare dalle spoglie del debitore. In molti paesi del Sud del mondo è abituale che gli strozzini cedano prestiti ai piccoli contadini ad interessi da capogiro in modo da dissanguarli e fare scattare la trappola alla prima rata non pagata. A quel punto inviano avvocati, notai e sicari, ciascuno con la propria arma di ricatto, per costringere i contadini a chiudere la partita cedendo i propri averi. E se il debitore non ha niente da dare possono prendersi lui stesso in ostaggio riducendolo in schiavitù.
Nei confronti degli stati indebitati si assiste alla stessa scena. Nelle loro capitali arrivano emissari di ogni genere, della Banca Centrale Europea, del Fondo Monetario Internazionale, delle società di rating, tutti con la stessa missiva: “pagate ciò che il mercato vi impone e se non potete pagare, svendete”.
Soprattutto “svendete” perché il vero disegno di mercanti, banche, assicurazioni, imprese di servizi, tutti intrecciati fra loro come serpenti in amore, è di mettere le mani sulle proprietà degli stati. Vedere tanta ricchezza e non poterla toccare, alla stregua di un frutto proibito, è una sofferenza indicibile, da sempre si scervellano per impossessarsene. Così si scopre che si scrive debito, ma si pronuncia privatizzazione, il sogno eterno dei mercanti di accaparrare palazzi, spiagge, parchi, isole, ma anche acqua, scuola, sanità, elettricità, gas, strade e tutto il resto che gli stati possiedono. Tutti beni comuni che la struttura pubblica mette gratuitamente a disposizione di tutti per il bene di tutti, ma che i mercanti vogliono per sé per ricavarci profitto.
Dunque quella del debito non è una battaglia economica, ma tutta politica. Una battaglia in cui si scontrano due concezioni: il bene comune contro l'arricchimento di pochi, l'interesse generale contro gli egoismi individuali. Dall'esito di questa battaglia dipenderà il nostro futuro: civile e armonioso se prevalgono i beni comuni, barbaro e violento se vince l'individualismo.
Oggi più che mai la parola d'ordine deve essere resistere, resistere, resistere. Basta con le manovre lacrime e sangue. Bisogna uscire dal debito sulle spalle dei forti. Dunque sfidiamoli con quella che loro chiamano bancarotta. Gridiamogli in faccia che non possiamo, né vogliamo pagare e ci avvaliamo del nostro potere di popolo sovrano per decretare la sospensione del pagamento di capitali e interesse. Il mondo non crollerà per questo. Più semplicemente assisterà ad un'operazione di livellamento: verrà tolto a chi in questi decenni si è arricchito all'inverosimile e verrà restituito a chi semplicemente chiede di vivere. Gli ebrei nella loro saggezza avevano istituito il Giubileo, l'azzeramento dei debiti ogni cinquanta anni per riposizionare le iniquità. L'umanità del terzo millennio sarà capace di altrettanta civiltà? Dipende da noi, da ognuno di noi: dalla nostra capacità di farci sentire.
Francesco Gesualdi, Centro Nuovo Modello di Sviluppo